/Le Metamorfosi di Ovidio
Una miriade di favole che sorvolano due millenni in una sorprendente traduzione.
Che cos'hanno da dire all'uomo del ventunesimo secolo le storie di Narciso che
si consuma nell'amore di sé, di Aracne ragnificata per la propria superbia, di
Dafne trasformata in alloro per sottrarsi alle brame di Apollo, di Mirra
innamorata di suo padre e Bìblide di suo fratello, di Progne e di Medea che,
assetate di vendetta, si fanno assassine dei propri figli? Perché dovrebbero
interessargli «due alluvioni universali, una trentina di stupri e quasi altrettanti
stupri mancati, più di un caso di transessualità, tre incesti e due tentati incesti,
circa sedici fiumi innamorati, quattro isole e otto cani che cominciano con la
lettera 'L'... per non dire delle centinaia di alberificazioni, uccellificazioni,
pietrificazioni, stellificazioni che si tamponano, si abbinano, si contaminano, si
mescolano, si inquinano senza pudore» nelle Metamorfosi di Ovidio? Per
rispondersi, l'uomo del ventunesimo secolo farà bene a sgranare gli occhi su
questo libro e affacciarsi su una incredibile raffica di mutazioni, «scandite da
scarti di timbro, aritmie, modulazioni, tracciate talora da un'ironia micidiale,
sull'orlo talora del gossip; dove però ad ogni passo può spalancarsi il crepaccio
della tragedia». Se saprà riconoscersi nel «delicato nonsenso» di essere sempre
chi è diventando continuamente un altro, e nel suo segreto bisogno di
incantesimi e di mostri, si potrà permettere l'indecentissima libertà di perdersi
fra i dodicimila esametri di questo libro supremo, lasciandosi accompagnare
dalla traduzione elegante e spericolata di Vittorio Sermonti, che non si
vergogna certo di usare la lingua con cui pensiamo e parliamo noi italiani del
ventunesimo secolo.